Le Orchidee spontanee
Il sostantivo Orchidea conduce automaticamente la maggior parte della gente a pensare alle sensuali piante utilizzate spesso come omaggi galanti; tali piante sono il risultato di ripetute ibridazioni ottenute in laboratorio a partire da specie spontanee di origine tropicale.
Pochi tuttavia sono a conoscenza che anche in Europa, nel bacino del Mediterraneo e quindi anche sul nostro territorio, esistono diverse entità spontanee di orchidee, sicuramente diverse e di dimensioni più modeste ma comunque non prive di notevole fascino e bellezza. Tali specie per poter vivere necessitano di particolari e delicate peculiarità ecologiche e biologiche e risultano pertanto estremamente vulnerabili e quindi degne di attenzione e tutela.
Le orchidee possono vegetare, allo stato spontaneo, in ogni tipo di ambiente, ad eccezione dei deserti, ghiacciai e fondali marini. Sono presenti fino al 64° parallelo Nord (con la specie Calypso bulbosa) e in alcuni casi fino a 4000 metri di altitudine (in Italia fino a 2000-2500 metri). Nel mondo, a seconda dei criteri di classificazione adottati (diversi a discrezione degli Autori) si contano circa 25.000 specie spontanee, raggruppate in circa 750 generi.
Nella provincia di Taranto sono note una cinquantina di entità, tra specie e sottospecie; tra queste alcune sono endemiche, cioè proprie (quasi esclusive), del territorio in cui vegetano.
GENERALITA’ E MORFOLOGIA DEL FIORE
La famiglia botanica delle Orchidaceae è quella più recentemente apparsa sul nostro pianeta (circa 15 milioni di anni fa secondo le ricerche più accreditate) e a livello di forme, colori e strategie riproduttive rappresenta nel mondo vegetale senz’altro la famiglia più evoluta.
La famiglia delle Orchidaceae appartiene alla classe botanica delle Monicotiledoni. I cotiledoni sono le prime foglioline (embrionali) che fuoriescono dal seme; nelle Dicotiledoni (es. legumi, rose, margherite) sono sempre due, mentre nelle Monocotiledoni (es. aglio, cipolla, graminaceae) è sempre una. Il fiore delle orchidee è composto da due insiemi concentrici di tre elementi ciascuno, detti tepali (non esiste, a differenza delle piante dicotiledoni, la divisione in calice e corolla e quindi in sepali e petali). I tre tepali esterni sono uguali tra loro e per comodità (ma solo per questo) vengono definiti sepali, mentre dei tre tepali interni, che per comodità (e solo per questo) vengono definiti petali, due sono uguali tra loro mentre il terzo (sempre in posizione centrale), che si differenzia notevolmente, svolge un ruolo fondamentale ai fini della riproduzione, prende il nome di labello.
Al centro di questi due insiemi si trova il ginostemio (o colonna) che non è altro che l’apparato riproduttore, composto dalla parte maschile (androceo) e quella femminile (ginoceo) saldate insieme; pertanto il fiore delle orchidee è ermafrodita.
L’ovario è infero (si trova cioè al di sotto degli altri pezzi fiorali) ed è composto da tre logge (carpelli) tra loro saldate, che a fecondazione avvenuta danno origine al frutto, al cui interno si formano i semi. Questi sono piccolissimi (in media lunghi tra 0,1 e 0,3 mm.), numerosissimi (per ogni frutto, nelle nostre specie, si contano da qualche centinaio fino a 20.000-30.000 semi) e privi di sostanze nutritive di riserva. Un numero di semi così elevato indica, contrariamente a quanto si possa pensare inizialmente, uno scarso (a volte quasi nullo) successo riproduttivo, vale a dire che tra tutte quelle migliaia di semi, nel migliore dei casi, solo pochissimi daranno vita a nuove piante per ragioni che verranno spiegate in seguito. Charles Darwin, che tra le sue tante opere, ne scrisse una di notevole spessore sulla riproduzione delle orchidee, dimostrandosi anche in questo caso eccellente precursore, calcolò come esempio che se tutti i semi di una specie del genere Dactylorhiza, avessero avuto successo riproduttivo, producendo cioè ciascuno di essi una nuova pianta, nell’arco di sole tre generazioni l’intero pianeta sarebbe stato ricoperto da quella specie.
Ciascun fiore, quando si trova ancora in boccio, è protetto da una foglia modificata che prende il nome di brattea.
Al momento dell'antesi, cioè della schiusa dei fiori, il labello si trova in posizione superiore, portandosi poi progressivamente nella posizione inferiore al fine di facilitare l'atterraggio e la sosta degli insetti pronubi (impollinatori).Tale movimento, che porta il nome di resupinazione, avviene per rotazione di 180° dell'ovario o del pedicello che lo sostiene (ove presente). Tra le orchidee europee fanno eccezione le specie dei generi Nigritella ed Epipogium, dove la resupinazione non avviene, e del genere Hammarbya dove invece risulta essere di 360° (questi ultimi generi comunque non fanno parte della flora tarantina).
Nelle foto sottostanti : due esempi di fiori non ancora resupinati
RIPRODUZIONE
La riproduzione delle orchidee può avvenire per via sessuata, cioè con scambio di materiale genetico, o per via asessuata, cioè senza scambio di materiale genetico. Tuttavia quest’ultima modalità è da considerarsi più che altro come una modalità di conservazione che di riproduzione vera e propria.
La riproduzione asessuata consta nella formazione di nuove piante che nascono da bulbilli prodotti dai bulbi principali, oppure dalla frammentazione del rizoma se si tratta di piante rizomatose. Naturalmente tutte le piante nate con questa modalità saranno dei cloni della pianta madre.
Un particolare tipo di riproduzione asessuata, che prende il nome di apomissia, consta nella formazione dei semi all’interno dell’ovario senza fecondazione avvenuta ed è tipica del genere Nigritella, le cui specie vegetano ad alte quote, dove la presenza di insetti impollinatori è molto ridotta.
Nella riproduzione sessuata il polline, dall’antera (parte dell’apparato riproduttore maschile) entra in contatto con la superficie stigmatica (parte ricettiva dell’apparato riproduttore femminile). Tale contatto può avvenire per semplice caduta o attraverso un vettore, nel caso delle orchidee europee, gli insetti; ecco perché si parla di entomogamia.
Tra le orchidee tropicali invece ci può essere anche impollinazione tramite uccelli (ornitogamia) o pipistrelli (cheirogamia).
Un insetto che si “impegna” a trasportare il polline da una pianta all’altra, deve sentirsi attratto dalla pianta e in qualche modo, ottenere una “ricompensa” (in Natura va sempre così). Ci sono orchidee che producono nettare o altre sostanze zuccherine fornendo così cibo agli insetti impollinatori (offerta di nutrimento). Altre specie invece, prive di nettare, “imitano” attraverso i colori, gli ornamenti e la forma del labello, le specie di altre famiglie botaniche (ad esempio quella delle Labiatae, di cui fanno parte anche la menta, il rosmarino, la salvia, ecc.) che sono nettarifere e che vivono negli stessi ambienti, traendo così in inganno gli impollinatori (mimetismo). Ma la modalità di attrazione più sorprendente, è quella messa in atto da tutte le specie del genere Ophrys. Il labello di queste orchidee possiede colori, ornamenti, disegni e spesso, persino due pseudo-occhi, caratteristiche che, nell’insieme, gli fanno assumere le sembianze di un insetto. A completare l’opera, la capacità di sintetizzare sostanze odorose simili ai feromoni sessuali che le femmine di determinate specie di insetti producono durante il periodo riproduttivo al fine di attirare i maschi. Tale modalità di attrazione prende il nome di inganno sessuale. Infatti i maschi di queste specie di insetti (soprattutto Imenotteri, cioè appartenenti alla famiglia di api e vespe), che in primavera sfarfallano un po’ in anticipo rispetto alle relative femmine, trovandosi al cospetto del labello di queste orchidee (pensate anche al lieve movimento provocato dal vento, che simula il volo) credono, ingannati anche dall’odore, di essersi imbattuti in una potenziale compagna con cui cercano di accoppiarsi (pseudocopula). In tal modo il loro corpo entra in contatto con le masse compatte di polline (pollinodi). Ciascun pollinodio aderisce al corpo dell’insetto attraverso una ghiandola appiccicosa (tipo ventosa), il viscidio (o retinacolo) che di fatto ne consente il trasporto anche per giorni e per lunghe distanze. Se l’insetto verrà nuovamente attratto “sessualmente” (e quindi ingannato) da un altro fiore, verosimilmente della stessa specie, nel tentativo di accoppiarsi nuovamente, trasferirà parte del polline prelevato dal primo fiore, sulla superficie stigmatica del nuovo fiore, di fatto, impollinandolo.
Ci sono alcune specie che si autoimpollinano ordinariamente (autogamia) e a volte (in alcune di queste) col fiore che resta in boccio senza mai schiudersi (cleistogamia).
GERMINAZIONE
A fecondazione avvenuta, all’interno dell’ovario, gli ovuli si trasformano in semi e l’ovario in frutto. A maturazione completa il frutto si apre, attraverso fessure longitudinali, permettendo ai semi di fuoriuscire.
Ognuno di noi da bambino ha sperimentato (quasi sempre con successo) di far nascere una piantina di fagioli semplicemente ponendo un seme su del cotone idrofilo e dandogli un po’ d’acqua. Dopo pochi giorni una giovane plantula faceva capolino. Ciò è stato possibile perché il seme del fagiolo al suo interno ha delle sostanze nutritive di riserva (endosperma) che gli permettono di avere la “forza” sufficiente per emettere le prime foglioline (cotiledoni) prima di poter ricavare energie attraverso la fotosintesi.
Tutto ciò non è possibile per i semi delle orchidee. Come accennato in precedenza le loro dimensioni sono microscopiche e pertanto il loro interno è privo di endosperma, cioè di sostanze nutritive di riserva. Pertanto una volta giunti nel terreno, hanno la vitale necessità di trovare qualcuno che si occupi del loro iniziale nutrimento. A tale scopo si “attivano” dei funghi microscopici che vivono nel terreno e che attraverso le loro radici (ife) penetrano all’interno del seme (nel gergo tecnico: infettano il seme) cominciando a nutrirlo. Si viene a formare così una stretta relazione tra fungo e seme che prende il nome di micorriza e che per la scienza ha ancora molti lati oscuri o quantomeno dubbi. Se questo stretto rapporto prosegue in modo equilibrato, il seme comincerà a crescere formando dopo un po’ di tempo, una struttura a forma di tubero che si chiama protocormo, dalla cui parte centrale cominceranno a formarsi delle piccole radici con funzione di assorbimento e dalla parte sommitale invece, una piccola protuberanza dalla quale si svilupperà successivamente la prima foglia cotiledonare.
Affinché tutto questo processo possa completarsi, (e con la dovuta premessa che tutto vada a buon fine),cioè per passare dal seme alla pianta che ha capacità di fiorire, occorrono, per le specie europee, dai 3 ai 15 anni di tempo.
Si possono così trarre le seguenti conclusioni:
1 – Anche nel terreno più incontaminato del pianeta, in assenza di funghi simbionti non ci potranno mai essere orchidee.
2 – A fronte di un enorme numero di semi prodotti si sviluppa un numero molto esiguo di nuove piante a causa delle complesse e difficili condizioni di germinazione su indicate.
3 – Si può intuire l’entità del danno che si arreca estirpando o danneggiando anche una sola pianta.
Le orchidee spontanee sono protette da leggi internazionali e spesso anche da leggi locali. La loro raccolta è vietata e perseguibile con sanzioni amministrative.
Chi ama osserva, contempla, sviluppa empatia, portando via solo il ricordo, l’immagine riprodotta da una foto(video)camera, da un disegno o un dipinto.
Chi vuole possedere ha solo una visione distorta dell’amore. La bramosia di possesso conduce solo in un vicolo cieco, alla perenne insoddisfazione che si autoalimenta all’infinito senza mai portare benefici e serenità se non in modo effimero.
Questo non vale solo per le orchidee ma per tutti gli aspetti della vita. In questo periodo storico sento particolarmente l’esigenza, al di là di ogni retorica buonista, di esprimere la mia solidarietà a tutte le donne che per sete di possesso dei loro mariti/fidanzati/compagni/amanti/amici/familiari in genere (e spesso anche di occasionali conoscenti) ci rimettono la loro serenità (talora con danni fisici ed emotivi permanenti) e spesso anche la vita stessa.
La bellezza si gode, non si “possiede”!!! E’ come se volessimo imprigionare l’aria che ci accarezza o l’acqua che ci ristora. Dopo pochissimo tempo non avremmo altro che asfissia e putrefazione.
Impegniamoci tutti, basta veramente poco, per rendere migliori il mondo e il tempo in cui viviamo; ne verremo ampiamente ricompensati. Cominciare ad amare, osservare, conoscere la Natura, può costituire un ottimo trampolino di lancio.
Teodoro (Teo) Dura – Socio e Coordinatore Provinciale GIROS (Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee)
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Galleria fotografica con alcune delle orchidee tarantine